Intervista sul progetto Lavoriamo terre migranti

Abbiamo intervistato Elisa Gravante, operatrice ADRA Italia per il progetto di “Lavoriamo Terre Migranti”, che ci ha raccontato le motivazioni che hanno portato alla realizzazione del progetto e l’impatto atteso sui beneficiari.

 1.Perchè Adra ha scelto di occuparsi dei migranti?

Più che una scelta riteniamo sia un obbligo sociale e morale nei confronti di un’umanità che vive storicamente le migrazioni, con o meno problematicità, possiamo però constatare che attualmente sono un dramma che confluisce in povertà e sfruttamento.

Già il network di ADRA internazionale ha scelto di garantire il proprio sostegno con numerosi progetti di soccorso e di prima accoglienza in favore dei rifugiati, mentre Adra Italia, ha scelto di impegnarsi nelle iniziativa a favore dell’integrazione e dell’inserimento lavorativo perché è uno dei bisogni meno attenzionato dai media e da un numero inferiori di organizzazioni.

Ha deciso, dunque, di lavorare per una “seconda accoglienza”, occupandosi di chi è arrivato in Italia e spesso ci rimane come rifugiato politico e talvolta come clandestino.

2.Perché proprio a Castel Volturno?

Perchè spesso Castel Volturno diventa un limbo per chi vuole o è costretto a rimanere nella clandestinità, per non essere rimpatriato. Il territorio campano, già particolarmente colpito dal fenomeno della Camorra, si è organizzato bene per fare in modo che uomini e donne senza nome e cognome possano diventare “forza lavoro”, volti da sfruttare e minacciare per adempiere lavori a costi irrisori. Tutto ciò regolamentato da una sola legge, quella del “caporalato”.

In questo contesto abbiamo voluto provare a mettere i primi semi, in una terra che, se apparentemente rocciosa, nasconde grandi possibilità di riscatto.

Fondamentale, per la realizzazione del progetto, è stata poi la collaborazione con le organizzazioni del territorio che da anni si occupano di arginare il fenomeno dello sfruttamento, costruendo rete di opposizione e azioni di lotta alla criminalità organizzata.

  1. In che modo il progetto produce un cambiamento nella vita di questi migranti?

La svolta sicuramente è in primo luogo culturale, l’inizio di un percorso di un cambiamento di mentalità. Lavorare senza un contratto, senza nessuna garanzia e quindi nessun diritto per loro è normale, del resto purtroppo, il lavoro “a nero” è un dato di fatto che nel nostro Paese si sviluppa sempre con maggior forza.

Nel corso dell’anno, inoltre, hanno incontrato diversi imprenditori in contatto con la cooperativa. I loro volti hanno cominciato ad essere conosciuti, sono diventate persone di fiducia per le realtà territoriali che hanno bisogno di assumere personale. Si sono distaccati da uno status di “forza lavoro” per riconoscersi la dignità di essere lavoratori.

Parte del progetto consiste nell’arricchire i loro curricula e le loro esperienze in vista di un possibile inserimento lavorativo che ci aguriamo possa arrivare il prima possibile per conseguire l’obiettivo principe del progetto.