Di fronte a tale tragedia umana non si può rimanere senza fare nulla…la spontaneità filantropica, saltuaria e ben intenzionata non è sufficiente…dobbiamo collaborare ed inserire la nostra azione all’interno di strategie più strutturate.
Il 20 di giugno prossimo si celebrerà, come ogni anno a partire dal 2001, la “Giornata internazionale del rifugiato”, per commemorare l’approvazione nel 1951 della “Convenzione sui profughi” (Convention Relating to the Status of Refugees) da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Per celebrare la Giornata, l’UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees/Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) ha lanciato la campagna (#WithRefugees) che durerà fino al 19 settembre. La campagna ha come obiettivo quello di far conoscere i rifugiati attraverso i loro sogni e le loro speranze. Come ha ben ricordato lo studioso canadese Charles Taylor, ogni promozione e difesa della “libertà e autodeterminazione” come dimensione fondante e primaria di ogni comunità civile e democratica, è purtroppo incompleta se non è allo stesso tempo accompagnata da politiche ed strategie per il “Riconoscimento” dell’altro nei sui bisogni primari. Lo statuto di “Rifugiato” così come definito dalle Nazioni Unite è appunto la concretizzazione e formalizzazione di specifiche politiche di “Riconoscimento”.
Negli ultimi dieci anni, l’UNHCR ha presentato la richiesta per il reinsediamento in favore di più di 1 milione di rifugiati a 30 diversi paesi, ma il numero di persone che necessitano di reinsediamento supera di gran lunga le opportunità disponibili in un paese terzo. Nel rapporto “Projected Global Resettlement Needs 2017” che fotografa questa situazione, si afferma che in virtù dell’aumento delle quote di reinsediamento da parte di alcuni paesi, e dell’aumento delle richieste, il numero previsto di persone che necessiteranno di reinsediamento nel 2017 raggiungerà i 1,19 milioni, ovvero il 72% in più rispetto al 2014. Il reinsediamento è una delle soluzioni migliori per i rifugiati, insieme all’integrazione nella società di accoglienza e al rimpatrio volontario. Grazie a questo strumento, ai rifugiati che non possono rimanere nel Paese di primo asilo, né possono rientrare nel proprio, viene data la possibilità di cominciare una nuova vita in un Paese terzo. Nel 2017 i siriani, seguiti da cittadini del Sudan, dell’Afghanistan e della Repubblica Democratica del Congo, saranno tra coloro che maggiormente necessiteranno di un programma di reinsediamento.
Inizialmente, l’UNHCR aveva il mandato di occuparsi dei soli rifugiati; successivamente l’incarico è stato ampliato. I beneficiari dell’UNHCR sono:
1. I Rifugiati: Definiti dalla convenzione del 1951 come persone che:
“Nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi” (articolo 1, lettera A, paragrafo 2)
2. I rimpatriati: coloro che, essendo rifugiati, chiedono di poter tornare nel proprio paese d’origine.
3.I richiedenti asilo: coloro che, lasciato il loro paese d’origine e avendo inoltrato una richiesta d’asilo, sono in attesa di una risposta dal paese ospitante per ottenere lo status di rifugiato.
4.Gli apolidi: coloro che non hanno la cittadinanza in nessuno Stato.
5. Gli sfollati interni (IDP, Internally Displaced Persons): coloro che sono costretti a spostarsi per conflitti o cause naturali all’interno della propria nazione.
Secondo i dati forniti da UNHCR stessa, nel 2016 sono state circa 55’000’000 le persone sotto la sua protezione.
La UNHCR è attiva e presente in 123 Paesi. Per ogni cittadino come per ogni credente la sfida che i rifugiati rappresentano è di doppio ordine. Primo, d’ordine filantropico. Di fronte a tale tragedia umana non si può rimanere senza fare nulla. Deve scattare un minimo di solidarietà ed interessamento per contribuire, nel nostro piccolo, a cercar di rispondere ad un problema umano che è anche nostro. Secondo, d’ordine strutturale. La spontaneità filantropica, saltuaria e ben intenzionata non è sufficiente. Per questo motivo dobbiamo collaborare ed inserire la nostra azione all’interno di strategie più strutturate, come quelle di ADRA Italia, che assicurano una continuità ed una programmazione maggiore che sono indispensabili per rispondere meglio a questi bisogni.
H. Gutierrez
Docente universitario IACB