Racconto di una volontaria tornata dalla Namibia
Poche cose mi hanno motivata ad intraprendere questo viaggio. Non ci sono dietro chissà quali slanci eroici o propositi di cambiamento come ci si aspetterebbe.
Ad un certo punto della mia vita mi sono solo trovata di fronte questa opportunità, un’opportunità che aveva il fascino di una porta socchiusa.
Presi la decisione e ne parlai ai miei amici, che immediatamente hanno incominciato a complimentarsi. Uno di questi, Pierpaolo (che poi decise di accompagnarmi in questa avventura), forse ha visto nel mio racconto la stessa porta socchiusa e ne è rimasto altrettanto affascinato.
Di fronte a me però c’erano non poche difficoltà: burocratiche, organizzative ed affettive.
Fortunatamente non mi sono mai trovata sola nel percorso fin dall’inizio: lo staff di Adra mi ha supportata ed accompagnata!
Ora vorrei raccontarvi qualcosa di quello che ho potuto vivere, laggiù.
In Namibia (ma credo anche nelle altre nazioni del continente africano) c’è un detto per quando le cose vanno storte o accadono imprevisti: T.I.A. (tìaiéi), This Is Africa. E non a caso.
Non appena giunta sul suolo di quell’enorme continente mi resi conto di molte differenze con la realtà che ero abituata a vedere, ma era solo la superficie.
La mia valigia smarrita ci mise una settimana e mezzo ad arrivare solo perchè i corrieri si scordavano di scaricarla nel distretto di destinazione, Kongola; è probabile che abbia percorso più kilometri lei di quanti non ne abbia fatti io.
Laggiù i “tecnici” delle centrali elettriche staccano la corrente quando sentono il boato di un fulmine, per riattaccarla subito dopo e staccarla all’arrivo di un nuovo fulmine. Sono persone semplici, cresciute da un sistema scolastico che al momento del diploma di maturità non garantisce neanche la conoscenza delle tabelline più semplici.
Si, cresciute da un sistema scolastico. Le scuole, compresa “la nostra”, sono composte per lo più da orfani, di fatto o per scelta di genitori poco consapevoli del loro ruolo.
Ma c’è qualcosa di inafferrabile che non saprei descrivere. Le persone vivono ad un altro livello di consapevolezza, non migliore del nostro, non inferiore. E’ semplicemente diversa la loro attitudine verso le cose, le emozioni e gli eventi della vita (e della morte).
Laggiù non c’è Stato, non c’è diritto se vivi in villaggi lontani da città, e così era. Ci si affida a regole strane e superstiziose per sopravvivere, e le piccole comunità attorno alla scuola, che non possiedono niente più che qualche mucca e delle capanne di fango e paglia, sono composte da soggetti tanto strani quanto affascinanti.
La stregoneria, la corruzione, le stranissime usanze sono tutti elementi che, incastonati nel deserto Namibiano, perdono di consistenza e dimostrano che l’uomo ha inventato poco di essenziale.
L’essenziale te lo dà la fede, te lo danno le relazioni.
Ho visto con i miei occhi la preoccupazione dei responsabili della scuola “God Cares”, in cui ho prestato servizio come volontaria per 3 mesi, quando vedevano le provviste ridursi tanto da chiedersi come poter dare da mangiare ai bambini. Ho ascoltato preghiere sincere e consapevoli. Ho visto, subito dopo, il volto dei componenti dello staff illuminarsi quando una telefonata dagli Stati Uniti comunicava che era arrivata una donazione.
Quando vedi attraverso uno sguardo sorpreso anche solo una scintilla di gratitudine, non puoi scordarti quanto sia importante non lasciarsi affondare l’animo dalle difficoltà. La fede di quei volontari li salva ogni giorno dal rimpianto, dalla solitudine, dallo sconforto… e perfino dalla morte oserei dire.
Quella scuola è stata fondata sette anni fa con il nome che più rappresenta lo spirito con cui si vive lì: God Cares Primary School, Dio se ne occupa, a Dio importa.
In tutto questo tempo non un singolo incidente e, sembra strano potersene vantare ma… beh, nessuna vittima.
Cobra, black mamba, scorpioni, ragni velenosi, animali feroci.
Beh, che altro potrei dire a riguardo… Ah, mi sono anche messa nei panni di chi fece quella donazione. Non so se si è mai reso conto del miracolo di cui è stato parte. Credo questo possa offrire a tutti noi un buono spunto di riflessione.
Si vive una vita semplice lì, senza aspettative. Bambini e ragazzi sono al centro dell’attenzione di ogni volontario. Del resto è quello l’obiettivo. L’incredibile sta nell’attenzione che ogni bambino riserva ad ogni volontario.
L’insegnante. Questo è stato il mio ruolo per i miei tre mesi namibiani. Un ruolo che più che di conoscenze, ha bisogno di umiltà, di intenzioni sincere.
Circa ottanta, tra piccoli e grandi, sono i protagonisti e l’essenza stessa della God Cares School. Il sistema scolastico è personalizzato per ogni studente. La Bibbia è materia di studio. La fede è la scintilla che ha dato vita a questo progetto missionario
Concludo trasmettendovi un messaggio che Sorin, il direttore della scuola, mi ha chiesto di divulgare: se vi chiedono quel è il più grande bisogno della scuola, rispondete così: “Abbiamo bisogno di volontari, abbiamo bisogno di persone consapevoli, volenterose e disponibili a piccoli sacrifici quotidiani” (come già raccontato, non sono garantiti 3 pasti al giorno in tempi di distretta!).
Aggiungo solo che, se volete fidarvi di me, ogni gesto che compirete lì vi farà sentire nel posto giusto al momento giusto.
Grazie ADRA, Grazie Africa, Grazie Dio.
Jessica Cavalieri