Arrivo alla chiesa avventista di Ragusa, un edificio nuovo e luminoso, dove sono stata chiamata in veste di mediatrice culturale e linguistica per l’iniziativa, patrocinata dal Comune di Ragusa, sostenuta dal “Network for Dialogue” e coordinata da Formation et Sensibilisation de Luxembourg e ADRA Italia, in collaborazione con associazioni del territorio: Fondazione Proxima e Vivere la Vita.
In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato ci aspettano tre giorni di formazione sul costruire fiducia attraverso il dialogo nelle comunità locali. La chiesa è pronta per la funzione del sabato, le sedie sono disposte in maniera ordinata e una leggera brezza attraversa le numerose porte che si affacciano su un giardino brullo e un cielo azzurro.
Davanti a me tante facce nuove, molte curiose, tante in attesa, qualcuna intimorita.
Il nostro percorso verso la fiducia e il dialogo comincia con un foglio con su scritto il nostro nome e tre cose che ci riguardino: riusciremo ad indovinare quella falsa? Il ghiaccio si rompe passeggiando per la stanza, interagendo, ridendo tutti insieme, sbagliando e imparando.
Dopo la prima attività di conoscenza è ora della funzione.Molti dei partecipanti stranieri al progetto erano confusi ed incuriositi: nessuno di loro ha mai assistito ad una funzione avventista, nemmeno io, ma l’atmosfera informale a accogliente ci mette tutti a nostro agio.
Il pranzo poi è un momento di convivialità e conoscenza, reso possibile dalla mobilitazione di tutta la comunità, che si è riunita intorno ai suoi ospiti come una grande e calorosa famiglia, cucinando piatti gustosissimi e inclusivi.
La giornata continua poi tra attività cooperative e momenti di riflessione sui temi inerenti alla cultura, al dialogo, alla creazione di rapporti basati sulla fiducia, tra giochi e momenti di scambio.
Così trascorriamo tre giorni insieme, coronati da una cerimonia che pone l’accento su quanto il dialogo e la fiducia siano basilari per la costruzione di una comunità coesa e forte, che possa accogliere il prossimo a braccia aperte e mostrargli che, anche lontano da casa, si può trovare una famiglia.
Le emozioni che provo sono tante e vedere piccoli e grandi cambiamenti nei ragazzi che partecipano alla formazione mi ripaga ampiamente dei giorni di lavoro intenso, del lungo viaggio in pullman e della stanchezza accumulata.
Il momento dei saluti è particolarmente toccante, perché è raro che si formi un gruppo così affiatato in così poco tempo: le differenze culturali si sono accostate le une alle altre e hanno creato un’opera variopinta sul cui sfondo le persone ridono, si tengono per mano e si riconoscono come fratelli e sorelle.
Infine è il momento che ognuno torni alla propria vita, alla propria città, alla propria casa. Tutti però siamo più ricchi, nel senso più meraviglioso del termine: abbiamo trovato il dialogo, abbiamo trovato fiducia, abbiamo trovato sorrisi, abbiamo trovato famiglia.
Chiara Terruso – Mediatrice culturale
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